E vissero (in)felici e (s)contenti
Un sogno d’amore contempla (quasi) sempre un percorso che conduce alla convivenza e/o al matrimonio con l’amata/o.
Ma cosa succede quando la coppia “scoppia”? E come tutelarsi nei casi (ormai quotidiani) in cui il sogno d’amore s’infrange, per vari motivi?
Inizia una serie di articoli volti ad illustrare ed approfondire l’argomento, da molteplici punti di vista.
Nei paesi (soprattutto) di tradizione anglosassone gli accordi prematrimoniali (cosiddetti “prenuptial agreements”) sono patti attraverso i quali due innamorati, prossimi al matrimonio, concordano i loro rapporti patrimoniali nel caso in cui il matrimonio si concluda con una separazione od un divorzio.
La coppia procede quindi ad una ripartizione o riconoscimento di somme di denaro, beni mobili o immobili, per gestire in via preventiva la fine del rapporto coniugale, ed evitare e/o ridurre le (quasi sempre) inevitabili controversie in Tribunale.
In Italia il Parlamento non ha ancora emanato una legge che dia validità a questi accordi, nonostante le tradizionali concezioni radicate nel passato, legate alla fede cristiana, siano state ampiamente superate dalla Legge 898/1970 sul divorzio e dalla Legge 76/2016 sulle unioni civili.
In effetti se i coniugi possono liberamente scegliere il regime patrimoniale (di comunione o separazione dei beni - ex. art. 162 e 215 c.c.) in costanza di matrimonio, perché non potrebbero decidere liberamente anche la (eventuale) fase successiva di separazione?
Nel silenzio legislativo soltanto una timida giurisprudenza ha iniziato ad affacciarsi all’argomento ma “senza fare rumore”.

L’indirizzo costante della Suprema Corte sancisce la nullità di tali patti per illiceità dovuta alla violazione del principio di indisponibilità dello status di coniuge, o in genere dei diritti in materia matrimoniale (Cass. civ. I sez. n. 3777 del 1981).
I coniugi, infatti, non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti ex lege (art. 160 c.c.) (Cass. civ. sez. I n. 2224/2017).
Lo scopo è quindi quello di tutelare l’istituto della famiglia, e preservare sempre gli interessi del coniuge economicamente più debole.
A conferma le pronunce Cass. civ. n. 8109/2009, Cass. civ. sez. I n. 8109/2000, Cass. civ. sez. I n. 5302/2006 e Cass. civ. I sez. n. 17634/2007).
Nel 2012 la (piccola) svolta.
La Suprema Corte (Cass. civ. sez. I n. 23713/2012), ha dichiarato la validità ed efficacia in sede di giudizio di divorzio, ad un contratto pattuito da due coniugi prima del matrimonio, con cui la futura moglie si impegnava a trasferire all’altro coniuge un immobile, a titolo di indennizzo, per le somme impiegate dallo stesso al fine di ristrutturare altro immobile di proprietà della donna, adibito poi a casa coniugale.